venerdì 15 maggio 2009

Mate

Il mate è forse l'unico superstite della colonizzazione occidentale del cono del sur, che sarebbe la parte bassa del sud america a ridosso delle ande.
Il mate è un'istituzione, un rito, una malattia, una scienza.
Il mate è una coppa fatta di calabaza (che poi sarebbe la zucca) che si riempie con la "Yerba mate", un'erba che odora di tabacco moooooolto amara.

Il mate non si prepare, si "ceba". Esiste un verbo apposito per la sua preparazione che è "cebar".
Ogni buon argentino bevitore di mate si porta sempre appresso la sua zucchetta (venduta nelle sue declinazioni più improbabili e tamarre) ed un termos con l'acqua calda.
Il mate non è un infuso. Si versa un po' di acqua calda e grazie alla bombilla, che è una sorta di cannuccia di metallo con alla base un filtro, si zuca l'amargo nettare.
Detta così sembra semplice, ma mi hanno spiegato mille varianti nella preparazione il cui effetto sul sapore finale è ovviamente a me ignoto.

Il mate si beve in compagnia. Nei giorni di festa i parchi sono invasi da uomini e donne con il loro termos sotto il braccio, quasi come fosse un'appendice del loro stesso corpo. E quando non è festa anche a lavoro ognuno ha il 
suo bel mate sulla scrivania, dall'autista al dirigente d'azienda, dal bancario al netturbino.

Nei supermercati c'è sempre un intero scaffale dedicato all'erba magica che fa passare la fame ed è forse il segreto di tanta magrezza.Ci sono mille varianti, da quello al sapore di frutta a quello dolce a quello al miele, ed altrettante fazioni di bevitori di mate, dagli integralisti dell'amargo a quelli del mate creativo.
Io ne ho comprato uno in uruguay e domenica scorsa l'ho ingegnato.
A me m' piac', ma sono solo un novizio.

Ho capito il livello di penetrazione della bevanda nella popolazione argentina quando una sera al cinema ho conosciuto il 'cinemate'.




link to the original photo by crazynd: http://www.flickr.com/photos/nd/88174616/

giovedì 14 maggio 2009

Polarizados

Molte macchine (che qui si chiamano coche) a buenos aires, montano dei finestrini oscurati, detti polarizados.
A napoli i vetri scuri ce li hanno i tamarri e i camorristi, per non essere visti, per ripararsi.
Qui invece, e in generale in sudamerica, la sensazione è che li abbiano i ricchi per non vedere e i tamarri per farsi vedere.
La differenza tra ricchi e poveri è evidente, ed allora chi può fodera i suoi spostamenti in auto in modo che il percorso tra origine e destinazione non sia sporcato dalla lurida realtà.
Sembrano tanti pacchetti, tipo protocollo TCP-IP, tipo internet, che si mischiano nel traffico; i ricchi con i poveri, i poveri con i cartoneros, nella stessa strada ma per vie diverse.
C'è il macchinone corazzato del "cheto" (che poi sarebbe il chiattillo di baires) ed il tamarro che lo emula montando i polarizados sulla 127 bianca.
Tutto il mondo è paese.

martedì 12 maggio 2009

Inverno

FA strano pensare che è metà maggio e l'aria si raffredda, nel cielo le nubi nascondono l'azzurro, gli alberi si spogliano delle foglie gialle e la gente si copre di maglie di lana
MA stamattina in bici faceva proprio nu spaccimm' e fridd'

lunedì 4 maggio 2009

N+1

Ci sono N cose a cui stare attenti quando si gira in bici per Buenos Aires: il fumo nero dei colectivos che ripartono ad ogni fermata, i colectivos che sembra ti inseguano sulle loro simil corsie preferenziali e quindi meglio sempre stare a sinistra, gli automobilisti che sembrano ignorare l'uso delle frecce e piuttosto inseriscono le quattro frecce quando vogliono accostare solo che sanno solo loro dove hanno intenzione di andare, le buche (che in generale non ci sono ma quando ci sono ti portano dritto al centro della terra), i pedoni che quando non c'è nessuno passano anche con il rosso, i taxi che credono che la strada se la so comprata, le tette che distraggono, ecctera eccetera eccetera.

C'era una cosa che non avevo considerato.

Ti potrebbe capitare che tornando a casa ti lanci su per una salita (cordoba y alem), la strada è a senso unico, ha cinque corsie e tu ti accosti sulla destra, dai giù di pedale e mentre sorpassi un camioncino parcheggiato ti vedi spuntare un'altra bicicletta, alla tua stessa velocità ma contro senso. Hai pochi secondi per capire cosa sta succedendo e alla fine non lo capisci. Valuti l'impatto ancora prima che accada, poi alla fine ti butti su un lato per schivare il rivale ma lui non riesce a fare altrettanto e colpisce il tuo braccio prima di splamarsi a terra.

Tu un po spaventato e col braccio dolorante sei riuscito a non cadere, riesci a fermare la bici che intanto ha cambiato un po dei suoi connotati, ti volti e vedi il tipo che si alza veemente e ti chiedi "chist' nun sul m'è venut ncuoll' mo' l'aggia pur vatter?".
Qualche secondo ancora e come in quadro di Escher passi ad un altro livello di comprensione. Da dietro al camioncino spuntano due signori ed una ragazza. L'altra parte del mio incidente intanto è già andato, col suo carico di sangue ma senza bottino.
Eh sì perchè nell'impatto il cellulare che aveva appena scippato alla ragazza gli è caduto di mano e mentre ricomponeva gambe e braccia non ha fatto in tempo a recuperarlo.
La ragazza, e  i due fancazzisti di turno realizzano solo dopo un po che lo scippatore non è stato fermato dll'arcangelo gabriele in persona ma si è scontrato con il pirla che ancora sta mettendo le tessere insieme per capire cosa è successo.
Dopo un formale "ti sei fatto male?" si dedicano alla ricerca della batteria. Eh si perchè pare che seppur malconcio il cellulare lo si sia recuperato ma manchi la batteria.

I tre personaggi non sembrano molto turbati dell'accaduto, sembrano piuttosto abituati, quasi compiaciuti, come ricaricati del diritto di lamentarsi. Tanto il tipo sulla bici, si vedeva, era un indio, aveva la pelle scura, e chissà da quale villa era uscito. Ed io, stando sulla bici, sono comunque in qualche modo un essere inferiore che adesso ha N+1 motivi per stare attento. Torno a casa con la sensazione di aver superato la barriera del denaro, quel punto in cui la consapevolezza che la mia ricchezza è complementare alla povertà di altri, supera l'equilibrio etico quotidiano generando una botta che poi fa male fin quando non passa il dolore.